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Senza vista

La percezione dell’essenziale

L’arte è costituita da un complesso di attività espressive che si propongono di superare le “umane barriere” concependo e realizzando linguaggi di rappresentazione per ciò che ci circonda e per l’espressione dell’animo stesso; questo richiede, oltre al coinvolgimento totale dei sensi, anche la conoscenza dei meccanismi che regolano il funzionamento della percezione visiva che sta alla base di ciò che andiamo ad ammirare. 

L’arte, sia essa pittorica, scultorea o fotografica, racconta l’essere umano, e riassume in una pennellata, in una modellazione o in uno scatto ciò che l’occhio umano vede; è frutto del sentire profondo dell’emozione provata in un momento o di un’attenta analisi e studio da parte dell’autore. 

Quando però viene a mancare un senso, quello della vista, tutto si rivoluziona: l’essere umano tende a colmare le lacune provocate da questa mancanza e a trovare negli altri organi di senso le informazioni per aggirare l’ostacolo, raggiungendo comunque una rappresentazione mentale capace di riempire in parte quell’enorme vuoto. 

In questi ultimi anni di ricerca scientifica sono stati fatti molti passi avanti verso il mondo delle persone con disabilità visiva. La ricerca lavora costantemente per fornire alle persone con questo deficit sensoriale modalità e strumenti più efficaci per interagire con il mondo. Ma cosa manca ancora? C’è un’enorme trasmissione di informazioni, un’infinità di segni da decodificare, ma si è perso un po’ il senso della sintesi. Percorrere nuove strade nella comunicazione, a volte facendo anche passi indietro rispetto alla tecnologia sempre più sofisticata, potrebbe essere una chiave di successo: un linguaggio universale e comprensibile a tutti si può solo basare sulla semplicità. Tutti gli elementi che riusciremo ad estrapolare dalla decodifica dell’immagine – ossia la sintesi del segno – saranno elementi utili e necessari per creare un codice unificato e semplificato, per aiutare, come obiettivo ultimo, i non vedenti ad intrappolare nel loro immaginario l’essenza dei dipinti e per rendere loro, in linea generale, il senso dell’argomento trattato all’interno di un dipinto. 

Cercare di trasmettere ai non vedenti la mia grande emozione nei confronti dell’arte è una passione, un lavoro, si ricongiunge in un unico senso nel Tutto: è la mia vita. Si tratta di una sfida veramente ambiziosa, ma se non si accettano le sfide e non ci si pongono degli obiettivi ben prestabiliti non si arriverebbe mai da nessuna parte e il mondo non sarebbe mai andato avanti. Il mio progetto di dottorato dal titolo “Cultura accessibile: studio ergonomico per l’implementazione di mappe tattili per la fruizione dell’arte pittorica e scultorea da parte di utenti con disabilità visiva” ha avuto inizio a novembre 2015 e la ricerca si è sviluppata come studio empirico. Siamo partiti dall’analisi della letteratura nel dominio della percezione, in cui abbiamo trovato gli elementi di base per dar inizio alla sperimentazione. Abbiamo quindi analizzato come si struttura la percezione del mondo da parte di un non vedente, avvantaggiandoci anche degli spunti di riflessione emersi dai continui confronti con i partecipanti non vedenti. Abbiamo pianificato gli esperimenti che, utilizzando stampe su carta con inchiostro a rilievo, ci hanno permesso di testare la comprensibilità e l’efficacia di un codice elementare per veicolare informazioni visive semplici in maniera tattile, con l’ambizione che, in un futuro, si possa arrivare a identificare un codice unificato per trasmettere tattilmente le informazioni visive rappresentate tramite l’arte pittorica. 

Rendere visibile l’invisibile è un enorme progetto, una sfida diretta verso la realizzazione di un personale obiettivo. Entrare in un mondo fatto di buio per rappresentare un mondo fatto di luce e colore tramite matericità e spessore fa nascere un universo di vibrazioni atte a trasmettere e delineare dei “contorni” riconoscibili di ciò che l’arte trasmette. Una volta dimostrato con il primo esperimento che le persone sono in grado di discriminare tattilmente la densità, il secondo è stato orientato a testare la possibilità di utilizzare un modo spontaneo ed ecologico per codificare la caratteristica del colore (più nello specifico, il colore acromatico) tramite l’utilizzo della densità, ovvero, se sia possibile usare la densità per veicolare l’informazione cromatica. Il terzo esperimento si è rivolto allo studio delle capacità di discriminazione tattile della forma, in modalità di rappresentazione sia piana sia solida, mentre nel quarto si è indagata la percezione tattile di due caratteristiche contemporaneamente presenti: densità/colore e forma. A questi ultimi due esperimenti hanno partecipato esclusivamente persone non vedenti. 

Per quanto riguarda le attività formative collaterali al Dottorato, durante i tre anni ho avuto la grandissima opportunità di collaborare con l’Istituto Rittmeyer di Trieste e con l’associazione A.N.Fa.Mi.V (Associazione Nazionale Famiglie Minorati Visivi) di Udine. Con loro ho iniziato un percorso di conoscenza personale nell’ambito del mondo delle persone con difficoltà visive. A seguito di questa proficua collaborazione, ho avuto la grandissima opportunità di conoscere il Maestro Scultore Felice Tagliaferri, con il quale il 18 novembre 2016 ho partecipato al laboratorio: “Ad occhi chiusi”, presso lo Spazio Oblò di Udine. Da questo incontro è nata una grande empatia e ho avuto la possibilità di conoscere il migliore scultore non vedente di tutti i tempi, oltre che addentrarmi in un modo di concepire l’arte, dalla sua ideazione alla sua realizzazione, del tutto nuova. Ancora oggi porto dentro me una profonda commozione rispetto quell’incontro e proprio per questo ora desidero aprire i cassetti della vostra curiosità e soddisfarli parlandovi un po’ del mio scultore.

Felice Tagliaferri è uno sculture non vedente tardivo dall’età di 14 anni, un noto artista a livello internazionale. Si diploma presso l’Istituto d’Arte di Ancona, seguendo il corso di scultura. Segue successivamente un corso di scultura presso il Maestro Nicola Zamboni, docente dell’Accademia delle Belle Arti di Brera (MI) e famoso scultore bolognese. Negli anni seguenti frequenta diversi studi di maestri scultori di Carrara. Dal 2001 ad oggi ha partecipato a numerose mostre e concorsi a livello internazionale, simposi, installazioni e sculture di piazza in molte città italiane.  Il suo percorso personale, intrapreso da più di 20 anni, nel mondo dell’arte è siglato con lo slogan: “Dare forma ai sogni”. Le sue mani hanno delle incredibili capacità tattili e si sostituiscono alla vista in maniera emblematica. Grazie a questa capacità di usare il senso del tatto e l’abilità personale nel fare scultura, è in grado di creare delle sculture di altissimo valore artistico, pari e talvolta superiori, in estetica del bello, ad artisti scultori vedenti dalle capacità elevate.

Maternità

Tutto ciò che ritrae prima si configura nel particolare nel suo cervello poi affronta la materia e la domina come se non ci fossero barriere. La sperimentazione di Tagliaferri, rispetto alla materia, lo porta a testare varie materiali quali creta, marmo, legno e pietra. Si ingegna magistralmente a dominare le materie diverse e, grazie alla sua enorme sensibilità tattile, sa precisamente dosare forza e delicatezza in base al materiale da scolpire e plasmare.

Cristo rivelato

Felice mon è geloso del suo sapere, il suo carattere espansivo e altruista lo porta a condividere, insegnando il suo sapere ai suoi allievi, siano essi vedenti o non vedenti. Il pubblico che lo segue, lo stima e collabora con lui, va dalla gente comune a educatori e operatori sociali, per i quali diventa, specializzandosi, un formatore. La sua si può definire “Arte Sociale”: proprio per l’impegno che caratterizza il suo percorso, le sue mostre sono sempre dinamiche e aperte a tutti. Felice Tagliaferri collabora con il Museo Tattile Statale Omero, il Museo di Arte Contemporanea di Roma, i Musei Vaticani, l’Accademia di Brera, l’Accademia di Roma, la Collezione Guggenheim di Venezia, Ca’ la Ghironda Modern Art Museum. È tra i protagonisti del libro di Candido Cannavò “E li chiamano disabili”, edito da Rizzoli nel 2005, e del libro di Mauro Marcantoni “I ciechi non sognano il buio”, edito da Franco Angeli nel 2008. Adina Pugliese gli ha dedicato un capitolo del suo libro “L’arte è utile. Comunque, bella”. È stato inoltre citato su diverse testate giornalistiche e trasmissioni televisive e numerose tesi di laurea presso Accademie d’Arte e Università italiane ed estere. Ha partecipato come relatore a diversi convegni, tra cui “Si può sorridere nel dolore”, a fianco del medico clown Patch Adams. Da anni tiene laboratori didattici nelle scuole di ogni ordine e grado e dal 2007 conduce laboratori al buio di sua ideazione in collaborazione con diverse associazioni. Dal 2016 è arte-terapeuta accreditato. Nel 2014 ha partecipato a un progetto di CBM Italia Onlus che prevedeva l’avvio di un laboratorio artistico permanente alla Bethany School di Shillong, in India, durante il quale ha insegnato a un gruppo di studenti disabili e ai loro insegnanti le tecniche di lavorazione della creta. L’intero progetto è stato ripreso da Silvio Soldini e Giorgio Garini nel documentario “Un Albero Indiano”.

Sono critico dell'arte e curatore di eventi. Dopo la laurea in Conservazione dei Beni Culturali a indirizzo Storia dell'Arte Contemporanea ho ottenuto un dottorato di ricerca in Neuroscienze e Scienze Cognitive. Sono esperta regionale in cultura e giornalista. Attualmente collaboro con il collega Giancarlo Bonomo nella creazione di grandi eventi e spettacoli multimediali sotto il marchio Eclipsis Style Project. I miei compagni di scuola dicevano di me che ero una simpatica vagabonda, che vivevo nel mio fatato mondo, e che ero impavida. Il libro che ho sul comodino è "Il mondo come volontà e rappresentazione" di Schopenhauer, una lettura che concilia il sonno. Domani vorrei essere sempre felice.