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La linea del cerchio

Una storia di autismo e di abbracci

Le lacrime scendono improvvise, come se qualcuno avesse aperto un rubinetto che non riesco a controllare.

Guardo mio marito: i suoi occhi sono inespressivi, forse non ha capito appieno ciò che la psicologa ci sta comunicando, la portata devastante di una locuzione come “bambina speciale”.

Ariel gioca su un materassino nell’angolo dello studio ed emette i suoi soliti suoni che sembrano essere senza senso per alcuni ma che io, dopo 30 mesi, di abbracci, di lacrime, di coccole, di dolore riesco ad interpretare: ogni sfumatura, ogni chiusura, ogni tonalità hanno un senso ben preciso in questa comunicazione atipica, fatta di urla e amore, di braccia trascinate, di sguardi evitati.

Per la prima volta nella mia vita sono davanti ad un baratro, una spessa linea invisibile che trasforma il mondo in qualcosa di spaventosamente incerto e che non ho la forza di saltare. Non ci sono schemi mentali a sorreggermi, non ci sono strategie cognitive che mi indichino la strada corretta: ci sono solo stordimento e dolore. E lacrime, le lacrime di quel rubinetto che non riesco più a chiudere.

Sono passati 6 anni da allora e mi sono trovata infinite volte davanti ad una prima linea: la prima visita da un neuropsichiatra, la prima seduta da un logopedista, la prima lotta in piazza per far valere i suoi diritti, il primo colloquio con il Direttore del Distretto Sanitario per chiedere il trasferimento da un centro riabilitativo ad un altro; la prima commissione INPS per la certificazione di disabilità, la prima visita a domicilio dell’assistente sociale, il primo incontro con il Dirigente Scolastico per chiedere un trasferimento di scuola in corso d’anno dopo esserci improvvisamente ritrovati senza supporto scolastico; il primo PEI (1), la prima risonanza magnetica, il primo day hospital; la prima volta che ha scritto “MAMMA” al computer, il primo salto sul letto imitando Masha; la prima quarantena, la prima videochiamata per la terapia, la prima mascherina, la prima parola sussurrata a quasi 9 anni; la prima candelina soffiata su una torta di pasta modellabile cantando “tanti auguri a te!” per dare un senso a quel gioco troppo astratto per lei, in perenne ritardo rispetto ai compagni, perfettamente allineata con il suo mondo e con il mio cuore.

Mille prime volte, mille prime linee attraversate con la schiena dritta, la testa alta e i pugni stretti, le unghie conficcate a carne viva: spesso in prima linea per dare voce a mia figlia, sempre un passo indietro rispetto a lei, affinché possa seguire il suo percorso e non uno tracciato da me. La mia non è una battaglia contro l’autismo, non potrei mai, sarebbe come combattere contro il mio cuore: io scrivo cercando di aumentare la consapevolezza sull’autismo e chiedo al sistema e alla società il diritto di mia figlia di essere la migliore se stessa possibile.

Quando penso ad Ariel, sento le sue braccia che mi stringono: la nostra vita è un abbraccio, un cerchio tra corpi che si amano alla follia, nonostante le diversità, grazie alle diversità.

Ogni giorno aggiungiamo una nuova linea alle nostre vite e, nonostante ciò che ad alcuni potrebbe sembrare, la vita della mia bambina non è una retta spezzata, bensì un cerchio composto da mille prime linee con i nostri cuori al centro.

(1) PEI: Piano Educativo Individuale. Il PEI è il documento ufficiale, determinante per il percorso scolastico degli alunni con disabilità certificata.

Classe 1975, sono la mamma di Ariel (una meravigliosa bimba di 9 anni che, tra le altre cose, è autistica) e di Davide (un meraviglioso ragazzino di 10 anni che, tra le altre cose, non è autistico). Penso che non siano i dolci a far ingrassare, ma il senso di colpa che si prova mentre li si mangia e quindi non offritemi mai una brioche integrale! I miei compagni di scuola dicevano di me che ero una secchiona. Il libro che ho sul comodino è Anna Karenina di Lev Tolstoj. Domani vorrei sapere cosa racconta Ariel alla luna durante le nostre notti insonni.