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Da retroguardia a prima linea

“Il diritto di contare” di Theodore Melfi

“In prima linea” mi evoca le situazioni in cui siamo chiamati a rispondere all’altro che incontrerà prima di tutto le persone che su quella linea ci stanno. Pertanto mi vengono in mente i rapporti e in cosa questi si caratterizzino: il dare delle risposte, il fronteggiare i possibili attacchi, l’organizzare un’azione e forse alle volte programmare una fuga. Così detto mi si configura nella mente una duplice immagine: da un lato delle rappresentazioni di guerra dove l’agire sembra farla da padrone; dall’altro la riproduzione di una scacchiera dove il pensiero è lento e le azioni calcolate. 

Questo periodo è stato e forse lo sarà ancora una sorta di trincea che ha lo scopo di proteggere qualcuno, qualcosa o semplicemente noi stessi. 

Un luogo in cui l’agire veloce, responsabile ed efficace va di pari passo con un pensare il più possibile ponderato. Mettere assieme questi due aspetti risulta una sfida alle volte assai ardua e credo sia ciò che ognuno di noi vive quando ha a che fare con dei livelli che per certi aspetti risultano paradossali.

Gran parte delle mie esperienze, soprattutto da un punto di vista lavorativo, sono state il tentativo di governare un avamposto nel quale mi sono trovata, per scelta o per necessità. Altre, più in generale, in cui sono stata catapultata. Altresì c’è un passato nella mia storia che forse è ancora presente in cui prima linea e retroguardia si alternano, si confondono e i confini si sbiadiscono. Cosa sia successo poi diventa un’analisi retrospettiva di come il tutto sia stato superato. Anche le cose che sono successe ieri possono essere guardate con queste lenti. Lo sguardo necessita di una visione binoculare perché una sola lente può non bastare e qui entrano in gioco le persone sulle quali ho potuto contare giacché “nessuno si salva da solo”: ecco che la mia lente ha condiviso quella dell’altro, sempre prezioso anche quando promuove il conflitto, la critica o semplicemente la considerazione che esiste la differenza, quella che promuove la conoscenza.

Non sempre tutto questo risulta facile e scevro di fatica. Nasce, così, la necessità di farsi toccare il cuore con leggerezza, con una sorta di carezza che è semplicemente un tocco lieve fine a se stesso.

Recuperando questa ultima affermazione mi viene in mente un film che ha saputo raccontare con spensieratezza e forse una buona dose di romanticismo il tema della differenza, della lotta, della determinazione e di come una retroguardia possa diventare prima linea essenziale. Un film che racconta di come sia importante tracciare delle rotte, delle traiettorie a partire da delle linee frutto di calcoli, sapienza, creatività ma soprattutto intelligenza e grande umiltà. 

“Il diritto di contare” è un film statunitense del 2016 che racconta la storia di tre donne di colore che lavorano alla Nasa. E’ tratto da una storia vera ma con il libro ha sicuramente delle diversità.

La cosa bella di questo film è il tentativo di condensare attraverso la storia di queste tre donne, il contesto storico, le rivoluzioni in atto e l’evidenza che chi sta in prima linea può godere di un successo che viene costruito nel continuo tentativo di trovare la formula giusta a che tutti abbiano il loro riconoscimento, soprattutto le persone che lavorano nelle retrovie e basta solo cambiare il senso di marcia e diventano loro stesse prime linee. Non è per certo un film che cambia la storia della cinematografia mondiale ma è un bell’esempio di come le persone possano usare al meglio il loro potere, non come forza soverchiante dell’altro, bensì come azione propulsiva di crescita. Non è una cosa scontata e forse passa attraverso una conquista sofferta e agognata. 

Ci si immerge in un mondo di calcoli e numeri, formule matematiche quasi magiche che grazie all’interpretazione delle protagoniste non spaventano ma tracciano linee, prime, seconde, terze perché tanti sono i tentativi, che hanno lo scopo di portare qualcuno da qualche parte e soprattutto in modo sicuro. 

E’ un film divertente che ha il potere di ricordare tanti temi importanti come il bianco e il nero, l’uomo e la donna, la giustizia e la diseguaglianza, le conquiste sociali, le guerre più o meno fredde, le lotte per le egemonie e molto altro. C’è romanticismo ma anche disillusione che coinvolgono lo spettatore in una serie di emozioni non sempre coerenti. La cosa bella è che tre donne afroamericane ognuna con delle caratteristiche personologiche interessanti, ma soprattutto simpatiche, si completano benissimo e fanno sì che un uomo prima riesca ad orbitare intorno alla luna, un altro poi possa scendervi veramente.  

Ecco avrei potuto parlare di tante altre prime linee, forse pregne di un significato molto più profondo. Tutti noi abbiamo negli occhi e nelle orecchie le immagini e i suoni di quelle prime linee così vicine a noi in questi giorni. Forse in un tentativo di vera e propria evasione il mio desiderio è stato quello di portarvi assieme a me, nello spazio quasi a poter scrutare le stelle e con la stessa magia con cui hanno guidato gli antichi, unire l’una all’altra a tracciare una linea che possa portarci dritti al cuore.

Sono una donna di 48 anni vissuti decisamente con una certa intensità. Alcune scelte di vita le ho fatte tendenzialmente con consapevolezza unitamente ad altre in cui il caso, la fortuna o la sfortuna sono stati i timoni che hanno organizzato le traiettorie. Amante della vita in sé con tutte le curiosità e le contraddizioni a lei proprie, ho sempre cercato di mettere assieme i tanti pezzi di un puzzle che si è articolato alle volte con delle geometrie variabili. Le relazioni e gli affetti, lo sport e lo studio sono stati i protagonisti dei vari capitoli con cui si è composto il libro della mia esistenza. A capo della pila di libri sul mio comodino in questo momento c’è “Vivere momento per momento” di J. Kabat-Zinn. I miei compagni di scuola dicevano di me che ero una persona che attraverso la mia disponibilità sapevo esserci per l’altro. Domani vorrei guardarmi indietro nella consapevolezza di aver fatto le cose nel migliore modo possibile e come dice qualcuno credere sempre che “se incontrarsi resta una magia, è non perdersi la vera favola”.