Lagunare
Pirandello e io
È lo stesso luogo ma è diventato un altro nel corso del tempo. Prima è stato il nido di tre notti d’amore, di chiacchiere e di poesia. Io non lo sapevo. Non lo sapevo mentre, da bambina, fantasticavo di abitarci e di svegliarmici la mattina, affacciandomi al suo terrazzo per guardare il mare.
Quando l’ho saputo era già una torretta scalcagnata tenuta su da un muro di edera, coi mattoni screpolati e la vernice rosicchiata dagli anni. Sotto, fra i fili d’erba, camminavano i gatti.
Nei primi del Novecento era la dépendance di un albergo chiamato Villa Gaides. La torretta, invece, la chiamavano Il Castelletto perché assomigliava a una torre, a un pezzo di castello, a un frammento prelevato dal Medioevo.
Adesso l’edificio principale è coperto da un grosso telo. L’albergo sonnecchia da decenni, si è spento. Qui sulla diga fa fresco, come sempre tira vento, l’acqua è bassa ma increspata. In alto, volano i gabbiani.
Ho passeggiato sulla banchina, come faccio sempre quando sono triste, per ricaricarmi respirando il salso. Ciuffi di alghe sono appoggiate sugli scogli, che scintillano al sole. Ho provato tante volte a sedermi su di loro per fermarmi a leggere ma è impossibile: d’estate fa troppo caldo e d’inverno c’è troppo vento. In mezzo ai capricci degli elementi si erge il Castelletto. Mi pare di vederlo, nello splendore dei primi del Novecento.
È stato qui che ha passato tre notti Pirandello con Marta Abba.
Era il 1928. Lui l’aveva conosciuta tre anni prima, quando aveva 58 anni, era uno scrittore famoso e lei ne aveva 25, era un’attrice e gli aveva fatto perdere la testa. Nel 1928, Pirandello l’aveva convinta a passare l’estate con lui.
Mi pare di vedere anche loro. Sono venuti a Grado in villeggiatura. Dopo una gradevole escursione in laguna su una batela, la piccola imbarcazione con la vela al terzo, utilizzata per il passeggio dei siuri, cioè per i turisti ricchi, erano tornati in albergo a cambiarsi. Negli occhi, avevano ancora le mote che galleggiavano nell’acqua e nelle orecchie quel silenzio piatto che si fa sordo per lo sciacquio dei remi e per i versi dei numerosi uccelli che lui non aveva saputo distinguere.
Dopo aver fatto il loro ingresso trionfale in ristorante, avanzando sotto i lampadari di cristallo, si erano accomodati a un tavolo posto al centro della sala, e Pirandello si era abbuffato con decoro di sardoni fritti e di risotto con la granseola, specialità del luogo. Poi avevano tuffato i cucchiaini in una coppa di gelato. Sul tavolo era stato messo un vaso con un mazzo di fiuri de tapo, quei piccoli fiori violetti che crescono solo nel fango della laguna.
Alla fine, lui si era pulito la bocca col tovagliolo, la barba ancora unta dell’olio in cui erano stati fritti i sardoni, e aveva fatto un cenno a Marta che lo aveva seguito in terrazzo, dove era rimasto a guardare la luna, come aveva fatto il suo collega Leopardi prima di lui. Il cielo era di un blu incredibile. Devono aver conversato di alta letteratura poi erano andati a dormire. Ma, prima, lui l’aveva spogliata con pochi tocchi esperti e lei l’aveva lasciato fare. Dopo, il suo corpo gli era sembrato argenteo sotto la luce della luna. Devo scrivere di questo, aveva pensato. E, chissà, forse l’avrà fatto.
Poi tutto sprofonda nelle nebbie del tempo. Pirandello e Marta Abba vengono risucchiati dal passato assieme alle lenzuola, al chiarore della luna, ai riflessi argentei sulle cosce di lei e con loro spariscono anche i lampadari di cristallo, le coppe di gelato, i sardoni fritti e il grande salone luccicante dove avevano fatto il loro ingresso. All’improvviso il Castelletto invecchia, si curva, alcune tegole cadono e la torretta si copre di edera.
È così quando ci passo davanti. Il cielo, ormai, comincia a scurirsi. I gabbiani volano lontano. La mia tristezza è ancora qua ma so che si dissiperà, a poco a poco, con il tramonto. Verrà portata via assieme ai ricordi su cui mi sono concentrata per distrarmi e che ho un poco inventato. Verrà dispersa nell’aria salata e forse sprofonderà nel mare. È lì che si trovano i tesori più antichi, dicono. Lì in fondo si trovano un sacco di cose.