Cronaca dalla prima linea
Fase 2 – Stare a casa
E adesso si rimane a casa. Questo è il consiglio, che in poco tempo è diventato un obbligo. Al riparo, nella protezione, chiusi dentro. Ad aspettare che tutto passi, che il coronavirus in qualche modo scompaia, che si consumi, che sparisca.
“Seguo le regole e aspetto fiducioso che la situazione migliori. Sono in cassa integrazione. Adesso vado a letto un po’ più tardi, la sera guardo la tv e di giorno faccio lavoretti in giardino e riordino le stanze” testimonia David De Carli; mentre lo stare così, in attesa, ci farà solo ricordare “la noia di stare in casa, i notiziari alla radio e di come non riuscivo a respirare” aggiunge Patrizia Sfiligoi, “e sì, con la mascherina non si respira bene, mi sembra quasi che un polmone non mi funziona e fumo di meno, mi viene sonno di mattina”, e sottovoce aggiunge che “non credevo che arrivasse un’emergenza così seria. Ho pensato all’aviaria. Avevo la paura di non poter andare neanche nei negozi a comprare da mangiare”.
“Non ho emozioni, me ne rendo conto. Posso solo dire di un in bocca al lupo ai pensieri positivi. Perché continuo ad avere di notte dei sogni belli. Mi ricordo che dovevo comprare una macchina, una bmw usata” annota sul foglio di quaderno Simone De Meo, e Manuel Mancino ricorda di come “mi sono addormentato perché avevo sonno e mi sono sognato un polmone, poi mi sono svegliato con la mascherina”. I sogni con facilità diventano incubi.
“Che tutto questo sia un attacco batteriologico per diminuire la popolazione mondiale?” arriva a chiedersi Michele Coral, conscio che “siamo tutti stufi dell’emergenza coronavirus, di indossare la mascherina per colpa sua e persino di respirare con un polmone alla volta”. Tutto si fa più complicato, certo.
“Paranoia, confini chiusi, paura, morti, povertà, regole”, per Erik Abruscato sono questi gli ingredienti di questo nuovo tempo presente, dove “ogni vittima nel giardino è un fiore che sboccia e allo stesso momento appassisce, perché non riesce a respirare”.
E ci si sente in vari modi, che il più delle volte non si controllano; “Sono legata ad un albero e non mi posso slegare, perché il laccio è troppo fino e l’albero è grosso con tante foglie, e guardo lassù. Vorrei sentirmi libera come tutto ciò che è invisibile” si confida Mery Luiz. Un albero c’è sempre, a cui essere legati. Anche solo per essere lì dove “aspetto te, contando le pecore”, dice Maksimilian Scoletta, che immagina di essere “in una giornata di sole e ad un tratto vedo un gatto che mi comincia a parlare, cosi decido di chiamare un medico e gli chiedo se andiamo a mangiare una pizza”. C’è bisogno di aria nuova, di nuove possibilità di respiro. La casa è un limite, i muri sono il confine.
Esatto, il concetto di confine diventa sempre più chiaro e definitivo. C’è nuovamente, in un qualcosa che chiude e delimita. Che sottrae lo sguardo al suo orizzonte, che lo rende innocuo.
Sì, “la libertà deve ancora essere conquistata. Arriverà forse in un mese invernale povero di sole, e come un furtivo gatto egoista che scappa da un palazzo” annuncia Carlo Fiorin, conscio che “ci mancava solo che ci avessero imposto di mettere la mascherina anche durante il sonno, così l’ormai unico polmone che mi funzionava andava a farsi benedire”. Nell’attesa di poter nuovamente uscire di casa.