Mongolfiere Tascabili

Quanti primi passi devo fare

Una storia possibile

Oggi nostra figlia mi ha chiesto quante volte sono stato innamorato.

Lo ha fatto come faresti tu, con la provocazione e l’affetto di chi sa dove vuole andare a parare.

Le ho risposto la verità. Tre.

A volte riesco ancora a sentirmi al fianco di Marco durante gli allenamenti di pallone, mi basta chiudere gli occhi e stare in giardino. I tacchetti delle scarpe entravano e uscivano dall’erba morbida, guardavo il ciuffo dei suoi capelli andare su e giù e pian piano mescolavo nel naso l’odore dei nostri sudori per immaginare come sarebbero stati insieme. Ero felice.

Sono stato il suo migliore amico per dieci anni; dirglielo sarebbe stato iniziare la fine del mondo. Anche tacere.

E’ successo un giorno per caso, con tutte e due le gambe che mi tremavano sotto il tavolo, bevendo birra e parlando del Torino o di Doctor Who, anche di ragazze naturalmente.

Il mondo è finito per un po’.  Poi il Torino ha vinto il campionato, io l’ho perdonato di non essersi innamorato di me e lui mi ha perdonato di essermi innamorato di lui.

Qualche settimana dopo aver conosciuto Francesca sono tornato dallo psicologo. Avevo paura di essere diventato eterosessuale e non potevo più accettarlo. Si è messo a ridere ma l’ho comunque pagato perché si trattava di risolvere un gran bel casino della mia testa.

Mi ha insegnato a fare l’amore con una donna e a non essere mai più elegante di lei quando si usciva con gli amici. Ho imparato presto e bene entrambe le cose ed è giusto tu sappia che i viaggi migliori della mia vita sono stati quelli di quegli anni. Era una misteriosa poesia che ti arriva da tutte le parti e non la vuoi fermare.

Non c’era nessuna ragione per lasciare una così, tu lo sai, a parte te.

Quando mi hai detto che avresti voluto adottare un figlio sono andato in bagno a vomitare. Sapevo di non essere capace di fare il padre e tanto meno di qualcuno nato chissà dove e da chissà chi.

Hai vinto come sempre, sorridendomi dopo il sesso. Dicevi che ti sentivi fortunato e volevi prenderti cura di un pezzo impantanato di mondo.

Poi ci hanno dato “Naelle con la erre moscia” e quello impantanato ero io.

Tu la facevi giocare sotto la pioggia a “quanti passi devo fare per arrivare al tuo castello” e io le compravo i libri di Hervé Tullet.

Le dicevo “scordatelo” e tu “parliamone un attimo”.  Di questo non ti perdonerò mai, supereroe del cazzo.

Avevo sempre paura che diventasse una tossica quando si vestiva strana e chiudeva a chiave la camera. Non ricordo quando ho smesso di pensarlo.

Eravamo così convinti di doverla circondare di donne straordinarie che alla fine lo abbiamo fatto di continuo. Ora ci ritroviamo una donna trentenne più intelligente e coraggiosa di noi che siamo rimasti i due poveri stronzi di sempre. Bell’affare.

Anche qui, quando ci dicono che dovremo vivere senza di te, è lei la più coraggiosa. Parla con tutti e riempie la stanza di erre mosce.

Io non so come fare, ma ci proverò.

Una cosa però me la devi proprio dire Riccardo: quanti primi passi devo ancora fare per arrivare al tuo castello?